AICS e l’impegno in ambito LGBTQI: intervista a Gabriel Corbelli
In occasione della Giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia e in vista dei Pride, abbiamo voluto dare voce a Gabriel Corbelli, Presidente AICS Rimini, Responsabile LGBTI AICS Emilia Romagna e Referente Alias AICS.
DOMANDA: Il 17 maggio è la giornata internazionale contro l’omolesbobitransfobia. A che punto oggi siamo in Italia, secondo lei, nella lotta contro le discriminazioni legate all’orientamento sessuale e all’identità di genere?
CORBELLI: Il 17 maggio 1990 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha rimosso ufficialmente l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali. È stato un momento simbolico, che ha segnato la fine di uno stigma medico durato troppo a lungo.
Tuttavia, solo nel 2005 questa data è stata riconosciuta a livello globale come Giornata Internazionale contro l’omofobia, la lesbofobia, la bifobia e la transfobia. Nonostante il riconoscimento formale, la realtà quotidiana per molte persone LGBTQIA+ resta segnata da discriminazioni, violenze e silenzi. Giovani e adolescenti continuano a subire bullismo a scuola e pressioni familiari, mentre molte persone si vedono costrette a nascondere la propria identità per evitare emarginazione e atti discriminatori.
Chi non può o non vuole farlo, rischia di essere vittima di abusi, isolamento e violenze, anche nei luoghi di lavoro. La maggior parte di questi episodi rimane sommersa, non denunciata, invisibile. Per questo è fondamentale agire in chiave preventiva, piuttosto che limitarsi a reagire dopo i
fatti. Negli ultimi anni, l’Italia ha compiuto alcuni passi avanti sul piano normativo, ma resta in ritardo rispetto ad altri Paesi europei. Secondo l’indice di ILGA-Europe, oggi occupa il 35º posto su 49 in materia di diritti LGBTQIA+. Le criticità principali riguardano l’assenza di una legge nazionale contro l’omolesbobitransfobia e il mancato riconoscimento legale delle famiglie omogenitoriali.
I dati raccolti da ISTAT e UNAR confermano un clima diffuso di insicurezza: una persona LGBTQIA+ su cinque ha subito episodi di ostilità o aggressione sul lavoro, e l’80% segnala esperienze quotidiane di microaggressioni.
Nel 2025, le Nazioni Unite hanno rivolto all’Italia ben 19 raccomandazioni sui diritti LGBTQIA+, chiedendo l’abolizione delle cosiddette “terapie riparative”, il pieno riconoscimento delle famiglie
arcobaleno e misure più incisive contro i crimini d’odio. A livello nazionale è stata adottata la Strategia LGBT+ 2022–2025, con l’obiettivo di promuovere inclusione e contrastare le discriminazioni in ambiti chiave come scuola, lavoro, sanità e comunicazione.
Tuttavia, la sua efficacia dipenderà dall’impegno concreto delle istituzioni e dal reale sostegno politico. Nonostante i progressi, persistono gravi lacune. È indispensabile un’azione coordinata e
continuativa da parte delle istituzioni, della società civile e di tutte le realtà educative e associative per garantire piena dignità, pari diritti e sicurezza a tutte le persone, senza eccezioni.
DOMANDA: Quali tipi di barriere si possono incontrare all’interno di un’associazione sportiva e culturale?
Le persone LGBTI possono incontrare diverse barriere all’interno delle associazioni sportive e culturali. Si tratta di ostacoli di natura culturale, relazionale, organizzativa e, in alcuni casi, anche strutturale. Questi limiti compromettono la piena partecipazione e mettono in discussione il ruolo inclusivo che queste realtà dovrebbero svolgere. Per le persone omosessuali, le difficoltà più comuni derivano da pregiudizi e atteggiamenti discriminatori, spesso espressi attraverso linguaggi offensivi o comportamenti esclusivi. Il timore del giudizio spinge molte persone a non dichiarare il proprio orientamento oppure ad allontanarsi dall’associazione, soprattutto in ambienti sportivi dove persistono stereotipi legati al genere. Le persone transgender si trovano ad affrontare barriere ancora più complesse. Oltre alla scarsa rappresentanza e al linguaggio poco rispettoso, devono spesso confrontarsi con l’assenza di riconoscimento della propria identità, ad esempio nei regolamenti sportivi ancora organizzati su base binaria. A questo si aggiunge la mancanza di spazi sicuri, come spogliatoi all-gender, che possano garantire dignità e benessere. In generale, la carenza
di formazione specifica per il personale dirigente, educante e di volontariato, unita all’assenza di politiche antidiscriminatorie chiare, contribuisce a creare ambienti poco accoglienti. Per questo è fondamentale che le associazioni adottino strumenti concreti: regolamenti espliciti contro le discriminazioni, percorsi formativi continui e, soprattutto, un ascolto attento e rispettoso delle persone LGBTI. Solo così sarà possibile costruire contesti realmente equi, sicuri e aperti a tutte e tutti. (Safeguarding, Codice di Condotta e Modello di Organizzazione, Gestione e Controllo).
DOMANDA: Come si può educare alle differenze attraverso lo sport?
CORBELLI: Lo sport è, per sua natura, uno strumento potente di socializzazione e crescita. Rappresenta un contesto privilegiato per promuovere il rispetto delle differenze, inclusi l’orientamento sessuale e l’identità di genere.
Educare alle differenze attraverso lo sport significa prima di tutto costruire ambienti realmente inclusivi, dove ogni persona LGBTI possa sentirsi accolta, sicura e valorizzata.
Per farlo, sono necessari regolamenti chiari contro ogni forma di violenza, linguaggio offensivo o discriminazione, insieme alla promozione attiva di una cultura del rispetto. Un esempio concreto è dato dal gioco di squadra: attraverso la collaborazione, la condivisione degli obiettivi e il confronto tra pari, lo sport diventa un’occasione per riconoscere l’altro, superare i pregiudizi e valorizzare la diversità come risorsa. Affermare questi valori sin dalle fasce giovanili è fondamentale per costruire una società più giusta, equa e aperta a tutte le identità.
DOMANDA: Esistono pratiche e corsi di formazione per operatori e operatrici che lavorano all’interno di un’associazione, per contrastare l’omolesbobitransfobia/ per creare facilitazioni?
CORBELLI: Un esempio concreto di educazione alle differenze nello sport è rappresentato dalla metodologia OUTSPORT, sviluppata nell’ambito di un progetto europeo contro l’omolesbobitransfobia e riconosciuta dall’OMS nel 2023. Promossa da AICS sotto la guida del collega Rosario Coco, questa metodologia si basa sull’educazione attraverso il corpo e il movimento, utilizzando attività fisiche e giochi strutturati per favorire inclusione, rispetto e consapevolezza delle diversità. Come Dipartimento LGBTI di AICS, con il supporto della Direzione Nazionale, promuoviamo corsi di formazione rivolti al personale dirigente e tecnico. L’obiettivo è fornire strumenti concreti per prevenire e contrastare le discriminazioni, anche attraverso percorsi di alfabetizzazione su orientamento sessuale e identità di genere. Si tratta di iniziative che mirano a promuovere comprensione, dialogo e inclusione nelle realtà sportive e culturali. Parallelamente, stiamo costruendo una rete di referenti provinciali e regionali AICS, per offrire un supporto capillare alle associazioni presenti sul territorio nazionale. In occasione del 17 maggio e del mese di Giugno, periodo in cui si concentrano numerosi Pride, abbiamo attivato percorsi formativi specifici, alcuni dei quali prevedono anche il rilascio di certificazioni internazionali. Personalmente, sono il primo a muovermi direttamente sul territorio nazionale per offrire supporto a famiglie, atletə e associazioni che si trovano in difficoltà. Perché non esiste una risposta valida per ogni caso: ogni situazione richiede ascolto, attenzione e sensibilità. Con orgoglio posso dire che oggi molte realtà associative, anche esterne ad AICS, ci riconoscono come punto di riferimento e si rivolgono a noi per affrontare insieme le sfide legate all’inclusione nello sport.
DOMANDA: Lei è stato il pioniere del tesseramento Alias per AICS. È stato difficile progettarlo e realizzarlo? Ci sono state esperienze significative legate a questo percorso che vorrebbe raccontarci?
CORBELLI: Grazie per la domanda.
L’introduzione del tesseramento Alias rappresenta una conquista significativa, nonché uno strumento concreto di benessere e accessibilità al mondo associativo di AICS per le persone transgender, non binarie e intersessuali. La possibilità di autodeterminarsi attraverso l’utilizzo del proprio nome elettivo sul tesseramento esprime fin da subito un messaggio chiaro di accoglienza e riconoscimento dell’identità personale. Si tratta di un approccio ancora oggi proibitivo in molti contesti esteri.
Nel progettare questa iniziativa, ho avuto numerosi dubbi su quale fosse il metodo più adeguato. La responsabilità legata a una proposta di tale portata mi ha spinto a confrontarmi a lungo con colleghi e realtà associative transgender con cui sono solito dialogare. In quanto uomo, atleta e dirigente trans, conosco bene le difficoltà che derivano dal possedere documenti non rettificati, e quanto questo incida negativamente sulla partecipazione a contesti sportivi, lavorativi e sociali, costringendo le persone a un coming out forzato per accedere a servizi che per altri sono immediatamente fruibili.
La fase di realizzazione ha comportato numerose sfide, che abbiamo affrontato con piena consapevolezza. Non sono mancati alcuni errori, specialmente sul piano metodologico, che il tempo e l’esperienza ci hanno permesso di riconoscere e che ancora oggi stiamo perfezionando.
D’altronde, non era possibile prevedere in modo preciso l’impatto concreto dell’iniziativa né la mole di richieste che avrebbe generato.
L’aspetto per me più significativo è stato il percorso stesso: quando ho condiviso un’idea ormai strutturata, ho ricevuto un consenso, un interesse e un sostegno straordinari. Il progetto ha così superato la dimensione individuale, diventando patrimonio collettivo. Anche coloro che inizialmente nutrivano dubbi nei confronti dell’identità Alias, si sono avvicinati per discuterne apertamente, e oggi sono tra i primi sostenitori dell’iniziativa.
Il Presidente nazionale di AICS, Bruno Molea, ha sostenuto il progetto pubblicamente, anche a fronte di attacchi personali. Le stesse associazioni LGBTI hanno difeso il Presidente con l’intento di far sentire il sostegno per l’attività portata avanti.